Rotola tra le rime la pietra

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LA COMPAGINE DEL MONDO

COMPLEANNO

STREPITO VANO

ABBANDONO

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LA COMPAGINE DEL MONDO
Ho incontrato per caso la Pietra
nel girovagare bambina in cortili sterrati,
tra campi assolati ed incolti,
ai piedi di muri stravolti.
Ogni volta appariva straniera,
d’intralcio o s’offriva impudente ad un tiro
e nel gioco del fazzoletto,
a sfida tra lancio e battuta,
quante volte l’ho vinta, quante volte perduta…
L’ho ritrovata occhieggiante tra la sabbia rovente,
levigata, impertinente, con aria leale
di chi non vuol farti del male.
D’allora la incontro sovente
e ancor più della gente mi parla e l’ascolto
nel folto silenzio che accappona la pelle
quando di notte si traveste da stelle.
Intrisa di sangue, trasudante sudore,
malata, agguerrita, ne vedo tante
e tutte hanno storie scolpite addosso
che a leggerle fino in fondo
scopri la compagine del mondo.
COMPLEANNO
Di nuovo Agosto mi chiude un anno
e ancora inganno perfidi ricordi
in quest’angolo statico
dove sosta il mio strabico sguardo.
E il getto impuro lorda il futuro
che com’ombra imprecisa s’allunga
aspettando che punga la spina del roseto affranto
per un risveglio che risvegli liberatore il pianto.
Taglia le foglie stanche del ciliegio derubato
una lama vermiglia
e recide altre miglia al viaggio senza vele
in quest’agosto che disfa perle e scioglie candele.
Rutilanti promesse tradisce il tramonto
nell’immane scontro con la notte incombente
e perdente s’impantana
la mia fata morgana.
Gravida d’uva la vigna senza fiato,
tende il vinciglio strozzato
e attende la mano che prende per averne conforto
laddove si fonde e confonde il diritto col torto.
Che dire? Ben venga altro Agosto
quantunque discosto e randagio
tra erba riarsa e polvere sparsa,
se ha in serbo cicale
e bagliori di lucciole nel giardino serale.
STREPITO VANO
C’è fede che coglie, qual frutto invernengo,
il provato che, senza dimora,
da tempo ignora il desco imbandito
e sol ora assapora
l’intima essenza del frutto proibito.
La ragione, elevata a baluardo,
l’infingardo prostrato depone
ché probante è il timore del dopo
ed arduo il procrastinare
quando le ore si mostrano avare.
Inveterati dubbi e farraginose risposte
la fede investe della creatura sparuta
e in certezze ordinate tramuta.
S’acquieta la paura nel proclamarsi credente,
ma ciò che il cuore non sente è strepito vano
e non giunge lontano.
ABBANDONO
Avrà pur cantato una donna
tra le mura spogliate dal tempo
di quel casolare discosto
che il sole d’agosto dardeggia.
Serpeggia la mente curiosa
e dubbiosa imbastisce pensieri
sulle tegole rotte, sulla tettoia crollata,
sul ciarpame: di certo abbandono per fame
e che altro,
se si volgon le spalle alla pietra sudata?
Ma l’ala del sonno falcando la notte
di certo il ricordo riporta a schiodare finestre,
e schiudendo la madia immutata
si ritrae nuovamente persuaso
di quanto quell’uscio andasse sprangato
in quel lontano e gelido occaso.



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